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Osservatorio “Evoluzione delle telecomunicazioni a livello mondiale”

Osservatorio “Evoluzione Delle Telecomunicazioni A Livello Mondiale”

Presentazione

Per capire lo “status” del mercato delle telecomunicazioni e dell’ICT è conveniente ragionare con un orizzonte internazionale. Infatti per definizione le telecomunicazioni travalicano i confini e ciò vale, ovviamente, anche per i concorrenti ed i vari protagonisti del settore. Per andare nello specifico, è pur vero, ad esempio, che questo mercato è sotto stress a livello globale, ma le differenze, tra USA ed Europa, sono significative. Negli ultimi cinque anni, le telecomunicazioni in Europa hanno perso più di un quarto del loro valore, mentre gli USA hanno guadagnato, nello stesso periodo, il 16%. Si chiede ad esempio l’analista John Strand:” Come potrà la Ue essere leader del 5G se non è neanche pronta per il 4G?” A penalizzare fortemente l’Europa contribuisce la mancanza di operatori pan-europei con una rete 4G. Negli Usa, di contro, ne esistono diversi. Mentre, poi, (riporta Key4Biz) gli investimenti nelle reti negli Usa sono decollati – con un picco nel 2004 – in Europa negli ultimi due anni sono rimasti piatti. Un unico operatore Usa, AT&T, negli ultimi sei anni ha messo sul piatto ben 119 miliardi. Venti solo l’anno scorso, quando le società di tlc dei primi cinque mercati dell’Unione europea hanno investito 16 miliardi di dollari tutte insieme. E la regolamentazione UE ha contribuito ad accelerare o a rallentare gli investimenti? Per rispondere a questi ed altri interrogativi viene tenuto questo Osservatorio ANFoV, con il seguente titolo: “Il mercato internazionale delle telecomunicazioni: drammi e opportunità” (nell’ambito dell’Osservatorio originariamente intitolato dal Comitato Strategico ANFoV “Evoluzione delle telecomunicazioni a livello mondiale”).

Svolgimento

Achille De Tommaso, presidente ANFoV, ha tracciato un quadro preciso della situazione che vede un mercato statunitense credere e investire nelle tlc. “Negli ultimi cinque anni l’Italia ha perso un quarto del mercato totale del settore, come la Spagna; La Francia ha perso il 17%; UK e Germania hanno perso quasi il 10%, mentre gli Usa hanno realizzato maggiori ricavi del 16%”. E ancora: “Solo At&t ha messo sul piatto 119 miliardi di investimenti contro i 16 miliardi di tutte le società europee”. Dal punto di vista tecnologico il Vecchio continente sta lavorando sul 5G, ma in realtà non è ancora ben pronto per il 4G. L’Europa è penalizzata dalla mancanza di operatori paneuropei con una rete 4G che copra tutto il continente. In più, il regolatore, che dovrebbe operare per fare in modo di creare un ambiente industriale dove gli operatori facciano il giusto profitto appare troppo preoccupato di lavorare sull’abbassamento dei prezzi. E i carrier si scannano fra loro con offerte promozionali a danno della profittabilità. E la UE ostacola o rallenta le fusioni, che sono probabilmente l’unico mezzo per far quadrare i conti degli operatori.

“L’Europa – ha proseguito De Tommaso – è caratterizzata da operatori dominanti all’interno dei confini nazionali cui si aggiungono decine di piccole società, sempre nazionali. Un mercato frammentato che cerca di competere con enormi vincoli normativi, tecnologici e finanziari; con virtualmente nessun operatore pan-europeo in grado di proporre servizi internazionali e intercontinentali”. E il regolatore non aiuta a , come testimonia la recente bocciatura da parte dell’Antitrust alla fusione fra 02 e Three Uk, realizzare un “mercato unico delle telecomunicazioni”.

Lo sviluppo di Tlc e digitalizzazione è però fondamentale per lo sviluppo delle economie continentali. Nei primi dieci anni del 2000 – ha sottolineato Raffaele Giarda, partner Baker&McKenzie – il 30% della crescita europea è arrivato grazie alla digitalizzazione. Per questo la Ue ha presentato la digital single market strategy che intende creare un contesto favorevole affinché le reti digitali e i servizi possano svilupparsi. La strategia prevede 16 azioni chiave da attuare nel 2016, un programma molto ambizioso che comprende lo sviluppo dell’ecommerce transfrontaliero, una omogenea protezione dei consumatori, la regolamentazione europea del settore delle telecomunicazioni, revisione della direttiva sulla privacy, diritto d’autore, regimi Iva e altro, compresa la promozione delle competenze digitali.

In questa situazione l’Italia, secondo il digital scoreboard dell’Unione europea, vanta una buona situazione per lo sviluppo dei servizi pubblici digitali e l’integrazione delle tecnologie digitali, ma arranca sul fronte dell’utilizzo di Internet, risorse umane e connettività. “Nelle reti di nuova generazione siamo piuttosto sotto la media europea anche se i confronti – riflette Giarda – sono sempre da prendere con le pinze. Paesi con una minore estensione geografica e magari anche un’orografia più pianeggiante (si pensi ad esempio all’Olanda) o paesi dove hanno sempre utilizzato il cavo per la Tv (si pensi ad alcuni paesi del Nord Europa) possono naturalmente presentare differenze marcate rispetto all’Italia”.

I dati Ue dicono che il 53% delle famiglie italiane possiede un abbonamento al broadband fisso contro il 73% dell’Europa. Aumentano le sottoscrizioni ai contratti con velocità più alte e scendono quelli che riguardano abbonamenti non a banda larga, ma se in Italia la banda più economica vale l’1,8% del reddito medio pro capite, in Europa siamo all’1,3%. La famiglia italiana fa dunque più fatica a permettersi Internet veloce, anche se i prezzi in assoluto sono comparabili. Nel mobile restiamo una storia di eccellenza con il 75% di abbonamenti a banda larga. Rimane il fatto, osserva Giarda, che il livello di alfabetizzazione digitale deve ancora crescere. Quanto alle cognizioni tecniche solo il 2,5% della forza lavoro può essere considerata specializzata nell’Ict. Un problema che rimanda all’istruzione con 14 laureati in materie scientifiche contro i quasi 20 della media europea. E sul fronte aziendale, conclude il partner Baker&McKenzie, “la quantità di ricavi che le aziende italiane generano dall’online è significativamente più bassa rispetto a quelle delle aziende europee. In conclusione, benché ci sia ancora strada da fare, l’Italia è nel drappello dei Paesi UE che stanno più velocemente recuperando”.

In Italia però la situazione è in movimento. Guido Ponte, chief economist di Tim, ha ricordato che il piano industriale della società per il triennio 2016-2018 prevede “uno dei più alti livelli di investimenti mai effettuati” di cui 6,7 miliardi di euro per investimenti innovativi, che comprendono oltre 4,5 miliardi di euro per le reti di nuova generazione fisse e mobili.

“Ogni minuto vengono posati sul territorio 4 km di fibra”, ha affermato Ponte, che, per quanto riguarda il mobile, ha dichiarato una copertura che arriva quasi al 92% della popolazione a marzo 2016 – e che raggiungerà il 98% nell’arco di piano – con oltre seimila comuni già oggi 4G e più di trecento 4G plus. Oggi Tim lavora con la tecnologia Fttc (Fiber to the cabinet) ma quando i consumi di banda cresceranno si passerà gradualmente al Ftth (Fiber to the home). Per quanto riguarda la banda ultralarga esiste però un problema di scarsa domanda. “Secondo i dati della Commissione Europea, aggiornati alla metà del 2015, solo il 4% delle famiglie possedeva la banda ultralarga, nonostante una copertura del 44%”. Un problema che non è solo italiano (in Gran Bretagna il 33% delle famiglie possiede la banda ultralarga, ma la copertura è del 91%, in Francia il rapporto è 20%-45%) ma che comporta investimenti sovradimensionati rispetto alla richiesta attuale. “Se il rapporto domanda – copertura fosse come quello francese – ha sottolineato il chief economist di Tim – oggi avremmo cinque milioni di abbonamenti in più”. Sviluppare la domanda è dunque l’imperativo e Ponte sottolinea come gli obiettivi 2015 dell’Unione europea sulla digitalizzazione della domanda non siano stati raggiunti dal nostro paese. “Però l’enfasi viene sempre posta sulle infrastrutture”. Qui si inserisce anche il discorso relativo al 5G “uno standard che oggi non esiste” spiega il chief economist di Tim e la cui enfasi dipende anche da forti pressioni di natura geopolitica. Fino a oggi gli operatori asiatici hanno pagato royalties a società europee che detenevano i brevetti. Per questo hanno interesse a superare il 4G e passare al 5G. Ma è tutto da verificare il bisogno del 5G, soprattutto quando le reti 4G sono state appena realizzate e gli investimenti non ancora ammortizzati.

Ha chiuso l’incontro Maria Rita Spada, Responsabile Financed Projects di Wind, che ha illustrato il percorso della società di proprietà del gruppo VimpelCom. “Le società di tlc devono cambiare pelle” ha affermato Spada, che ha spiegato come Wind intenda interpretare il ruolo di digital solution provider puntando con decisione sul digitale e cooperando con i vari attori nello scenario internazionale ed italiano, in particolare le startup, come dimostra l’esperienza di Wind Business Factor, acceleratore virtuale e programma di formazione sviluppato da Wind per favorire la nascita e lo sviluppo di startup italiane. L’obiettivo è quello di offrire servizi digitali che permettano di utilizzare al meglio i dati disponibili in rete, attirando un cliente sempre più digitale che non veda il punto vendita come elemento centrale del suo rapporto con l’azienda, che invece potrà essere sviluppato anche tramite altre dinamiche basate, ad esempio, su una serie di app. Una visione figlia della costruttiva interazione con il gruppo VimpelCom, che opera in Paesi dove esiste una forte presenza di giovani, con gruppi di lavoro che uniscono le varie competenze e permettono all’azienda di proporre prodotti “data centric” con soluzioni che diano sempre più valore ai dati.

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